Schopenhauer

 Arthur Schopenhauer nasce a Danzica, città che passa dall’essere polacca, all’essere parte dell’impero prussiano. Figlio di un ricco meriante (papa 38 anni, mamma 18 anni), i genitori hanno due figli Arthur e la sorella. La mamma di Arthur era stata la prima scrittrice a pubblicare senza pseudonimo ( Johanna). Era amica di molti poeti, tra cui Goethe. Con il figlio la mamma ha un rapporto particolare, i due non vanno d’accordo, a peggiorare le cose ci fu il suicidio del padre. Johanna e la figlia si trasferiscono, Arthur rimane nel posto d’origine a studiare, arrivando alla conclusione che la madre non era adatta a svolgere quel ruolo; ma questo centra solo in parte con il suo pessimismo. Sulla formazione di Schopenhauer influirono le dottrine di Platone e di Kant.

Negli anni successivi alla morte del padre si trasferì a Dresda: qui si dedica alla

composizione dello scritto “sulla vista e suoi colori” —> in difesa delle dottrine

scientifiche di Goethe; preparo la sua opera principale per esser stampata : “ il

mondo come volontà e rappresentazione” pubblicata nel dicembre del 1818. Mori il 21 settembre 1860. Nessun successo immediato arrise all’opera di Schopenhauer: il filosofo dovette aspettare 20 anni per pubblicare la seconda dizione de “il mondo come volontà e rappresentazione”. L’indirizzo cupo e apparentamenti ant-idealistica del suo pensiero, poté contribuire alla “fortuna” della sua filosfia solo dopo il 1848.

—> Le radici culturali del sistema

Schopenhauer si pone come punto di incontro tra esperienze filosofiche eterogenee: Platone, Kant, l’illuminismo, il Romanticismo, l’idealismo e la spiritualità indiana.

• Di Platone lo attrae sopratutto la teoria delle idee, intese come forme eterne sottratta alla caducità

dolorosa del nostro mondo.

• Di Kant deriva impostazione soggettivistica della gnoseologia

• Dell’illuminismo lo interessa il filone materialistico e quello dell’ideologia, da cui mutua la tendenza a

considerare la vita psichica e sensoriale in termini di fisiologia del sistema nervoso.

• Dal Romanticismo Schopenhauer tare alcuni temi di fondo del pensiero, come ad esempio

l’irrazionalismo, la grande importanza attribuita all’arte e alla musica e sopratutto il tema dell’infinito, cioè la tesi della presenza nel mondo di un principio assoluto di cui le varie realtà sono manifestazioni transeunti. Altro motivo indubbiamente Romantico è quello del dolore.

Mentre sul piano filosofico il Romanticismo mostra una tendenza globalmente ottimistica, che si concretizza in un tentativo di dialettizzare o riscattare il negativo tramite il positivo, Schopenhauer appare invece decisamente orientato a una visione pessimistica della realtà, di cui è uno dei maggiori teorici.

Decisiva importanza gioca il pensiero idealistico, autentica “bestia nera” della speculazione di Schopenhauer, il quale lo indica spregiativamente con la formula “filosofia delle università”, che non è al

   

servizio della verità, ma interessi volgari quali il successo e il potere e che si propone di giustificare sofisticamente le credenze che tornano utili alla Chiesa e allo Stato.

Nel linguaggio fiorito e pittoresco in cui Schopenhauer esprime il proprio ben poco benevolo apprezzamento per la filosofia a lui contemporanea si manifesta infatti l’esigenza della libertà della filosofia che lo da indignare di fonte alla divinizzazione dello Stato da parte di Hegel.

Schopenhauer —>

1. è stato il primo filosofo occidentale a tentare il recupero di alcuni motivi del pensiero dell’estremo

Oriente

2. ha desunto da esso un prezioso repertorio di “immagini” e di espressioni suggestive, del quale ha

fatto un uno abbondante nei suoi scritti

3. è un ammiratore della sapienza orientale e un “profeta” del successo che tale sapienza ha avuto in Occidente.


Il velo di Maya

Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione kantiana tra “fenomeno” e “noumeno”, ovvero tra la cosa cosi come appare e la cosa in se. Ma questa distinzione ha poco a che fare con quella realmente professata da Kant.


il fenomeno è parvenza, illusione e sogno, ovvero ciò che nell’antica sapienza indiana era detto “Velo di Maya” 

Mentre il noumeno è la realtà, che si “nasconde” dietro l’ingannevole trama del fenomeno e che il filosofo ha il compito di “scoprire”.


Fin dal principio Schopenhauer riconduce il concetto di fenomeno a un significato estraneo allo spirito del kantismo. L’”atmosfera” orientalistico- metafisica in cui la filosofia di Schopenhauer immerge il lettore è ben diversa da quella gnoseologico-scientifico della Critica della ragion pura.

Per il criticismo il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione e in quanto “cosa” o “dato” materiale esiste anche furi dalla coscienza, il fenomeno di cui parla Schopenhauer è la rappresentazione soggettiva, cioè esiste solo dentro la coscienza.

  —> Per Schopenhauer questo principio è simile agli assiomi di Euclide: ognuno ne riconosce la verità appena lo intende, e uno dei grandi meriti della filosofia moderna, da Cartesio a Berkeley, è di averlo portato definitivamente alla luce.

La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, la cui distinzione costituisce la forma generale della conoscenza: da una parte c’è il soggetto rappresentante; dall’altra c’è l’oggetto rappresentato. Soggetto e oggetto esistono soltanto come “facce” della stessa medaglia, ovvero entrambi come elementi imprescindibili della rappresentazione.

Schopenhauer smette solo tre forme a priori: spazio, tempo e casualità. Quest’ultima è l’unica categoria, sia in quanto tutte le altre sono a esse riconducibili, sia in quanto la realtà stessa dell’oggetto si risolve completamente nella sua azione casuale su atri oggetti. Tant’è vero che dire “materia” è dire “azione casuale” come testimonia il sostantivo tedesco Wirklichkeit (realtà) che discende dal verbo wirken (agire). La casualità assume forme diverse a seconda degli ambienti in cui opera, manifestandosi come necessità fisica, logica, matematica e morale, ovvero come principio del divenire, del conoscere, dell’essere e

dell’ agire.

Poiché Schopenhauer paragona le forme a priori a vetri sfaccettati, attraverso cui la visione delle cose si deforma, egli considera la rappresentazione come una fantasmagorica ingannevole, traendo la conclusione che “la vita è sogno”, cioè un tessuto di apparenza. Andando alla ricerca di precedenti illustri di questa intuizione Schopenhauer cita:

1. La filosofia di Veda, cioè i testi sacri della tradizione induista, per i quali l’esigenza comune è una sorte di illusione ottica


2. Platone, il quale dice spesso che gli uomini non vivono che in sogno

3. Pindaro, secondo cui l’uomo è il sogno di un’ombra

4. Sofocle, drammaturgo greco, il quale paragona gli individui a simulare e ombre leggere

5. Shakespeare, il grande poeta inglese del Seicento, che scrive che “noi siamo di tale stoffa, come quella

di cui son fatti i sogni e la nostra breve vita è chiusa in un sonno”

6. Calderon de la Barca, poeta spagnolo autore del noto dramma La Vida es sueno

Al di la del sogno della trapunta arabescata del fenomeno, esiste pero la realtà, quella vera, riguardi alla quale l’uomo, o meglio il filosofo che è nell’uomo, non può fare a meno di interrogarsi. Infatti l’uomo è un “animale metafisico” che, a differenza degli altri esseri viventi, è portato a stupirsi della propria esistenza e a interrogarsi sull’essenza ultima della vita.

—> Tutto è volontà

Se noi fossimo soltanto conoscenza e rappresentazione, o una “testa d’Angeli alata senza corpo”, non potremmo uscire dal mondo fenomenico, ossia dalla rappresentazione puramente esteriore di noi e delle cose. Ma poiché siamo dati a noi medesimi non solo come rappresentazione, ma anche come copro, “ci viviamo” anche dal di dentro, godendo e soffrendo. Ed è proprio quest’esperienza di base che permette all’uomo di “squarciare” il velo del fenomeno e di afferrare la cosa in se. Ci rendiamo contro che l’essenza profonda del nostro io, o meglio la cosa in se del nostro essere globalmente considerato, è la brama o la volontà di vivere, cioè un impulso prepotente e irresistibile che ci spinge a esistere e ad agire.

Noi siamo vita e volontà di vivere e il nostro stesso corpo non è che la manifestazione esteriore dell’insieme delle nostre brame interiori; l’intero mondo fenomenico non è altro ce la maniera attraverso cui la volontà si manifesta o si rende visibile a se stessa nella rappresentazione spazio-temporale. Da ciò il titolo del capolavoro di Schopenhauer : il mondo come volontà e rappresentazione.

Schopenhauer ricorre a una serie di eloquenti immagini, scrivendo che il rapporto tra la volontà e l’intelletto, tra la volontà e il corpo, tra la volontà e il fenomeno in generale, è lo stesso che intercorre tra il padrone e il servo, l’uomo e lo strumento, il cavaliere e il cavallo, il fabbro e il martello, il sole e la luna, il cuore e il capo. Fondandosi sul principio di analogia, Schopenhauer afferma che la volontà di vivere non è soltanto la radice noumenica dell’uomo, ma anche l’essenza segreta di tutte le cose, ossia la cosa in se dell’universo. Infatti la volontà di vivere pervade ogni essere della natura che vanno da quelli della materia organica, in cui si manifesta in modo inconscio, fino a quello dell’uomo, in cui risulta pienamente consapevole.

—> Caratteri e manifestazioni della volontà di vivere

La volontà presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappresentazione, in quanto si sottrae alle forme proprie di quest’ultimo: lo spazio, il tempo e la casualità

La volontà primordiale è inconscia , poiché la consapevolezza e l’intelletto costituiscono soltanto delle sue possibile manifestazioni secondarie. Il termine “volontà” indica il concetto più generale di energia o impulso. In secondo luogo, la volontà risulta unica, poiché esistendo al di fuori dello spazio e del tempo, che hanno la prerogativa di dividere e di moltiplicare gli enti, si sottrae costituzionalmente a ciò che i filosofi del Medioevo chiamavano “ principio di individuazione” .

Essendo oltre la forma del tempo, la volontà è anche eterna e indistruttibile, ossia un rinvilio senza iniziò ne fine. La volontà si configura come una forza libera e cieca, ossia come energia incausata, senza un perché e e uno scopo; noi possiamo cercare la “ragione” di questa o di quella manifestazione fenomenica della volontà, ma non della volontà in se stessa, esattamente come possiamo chiedere a un uomo perché voglia questo o quello, ma non perché lo voglia in generale. La volontà primordiale non ha alcuna meta oltre se stessa: la vita vuole al vita, la volontà vuole la volontà, e qualunque motivazione o scopo, cade entro l’orizzonte del vivere e del volere. Miliardi di esseri non vivono dunque che per vivere e continuare a vivere. È questa, secondo Schopenhauer, l’unica crudele verità sul mondo, anche se gli uomini hanno cercato per lo più di “mascherare” la terribile evidenza postulando un Dio cui finalizzare la loro vita e in cui trovare un “senso” per le loro azioni. Ma Dio, nell’universo doloroso di Schopenhauer, non può esistere e l’unico assoluto è la volontà stessa, cioè il fatto di essere unica, eterna e incausata.

 

Schopenhauer ritiene che l’unica e infinita volontà di vivere si manifesti nel mondo fenomenico traverso due falsi logicamente distinguibili:

• Nella prima, la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, a-spaziali e a-temporali, che egli

chiama platonicamente idee e che considera alla stregua di archetipi del mondo.

• Nella seconda, la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che sono nient’altro che la

moltiplicazione, vista attraverso il prisma dello spazio e e del tempo, delle idee.

Il grado più basso dell’oggettivazione della volontà è costituito dalle forze generali della natura, i gradi superiori dalle piante agli animali —> questa sorte di “piramide cosmica” culmina nell’uomo, nel quale la volontà divine pienamente consapevole. Ma ciò che essa acquista in coscienza, perde in sicurezza, infatti, la ragione è meno efficace dell’istinto

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