IL CAPITALE - KARL MARX

Nell'opera Il Capitale, testo-chiave della sua dottrina, Marx analizza i meccanismi strutturali dell'economia borghese-capitalistica, ritenendo che la società borghese abbia in sé le contraddizioni strutturali, che la porteranno alla sua fine.

Per Marx, la caratteristica del modo di produzione capitalistico è nella produzione generalizzata di merci, pertanto, nella prima parte de Il Capitale, esamina il concetto di merce, che ha un duplice valore:

1) un valore d'uso, legato all'utilizzo e alla richiesta di quella merce;

2) un valore di scambio, la capacità di ogni merce di essere scambiata con un'altra, sebbene lo scambio non sia diretto, non essendo in forma di baratto, ma indiretto, tramite il denaro.

Il valore di scambio di una merce dipende, per Marx come per gli economisti classici, dalla quantità di lavoro necessario per produrla. Il capitalismo tuttavia considera ogni merce come avente valore di per se stessa (feticismo delle merci) dimenticando che essa è il frutto dell’attività umana. Caratteristica peculiare del capitalismo è per Marx la produzione finalizzata all’accumulazione di denaro, più che al consumo.

Contrariamente ai sistemi economici preindustriali, il cui ciclo è definibile dalla formula M-D-M (Merce-Denaro-Merce) il sistema capitalistico è invece definito dalla formula D-M-D’ (Denaro- Merce-più denaro) considerato che il capitalista non parte con un prodotto, ma con del denaro, che investe nella produzione di merci al fine di ottenere più denaro.

Ma da dove arriva questo “più” monetario, quindi questo plusvalore?

La risposta è nel fatto che il capitalista ha la possibilità di acquistare una merce particolare, che ha la caratteristica di produrre valore: il lavoro del proletario, una merce che egli vende al capitalista in cambio del salario. Il lavoro del proletario produce di più e vale di più di quanto riceve come salario, stabilito in quantità appena sufficiente per il suo mantenimento.

Ad esempio, se l'operaio è obbligato a lavorare dodici ore al giorno e il salario percepito vale invece otto ore di lavoro, l'operaio produce nelle quattro ore rimanenti un prodotto aggiuntivo, che il capitalista non paga, ma di cui si appropria.

La produzione aggiuntiva non pagata all'operaio e che il capitalista fa propria è ciò che Marx chiama pluslavoro, dal quale deriva appunto il plusvalore, che a sua volta produce il profitto. Consideriamo ora la distinzione marxiana tra i macchinari, che rappresentano il capitale costante, e i salari, che sono invece il capitale variabile: dal momento che il plusvalore nasce in relazione ai salari (più aumenta il pluslavoro, più cresce il plusvalore) il saggio del plusvalore, ossia il rapporto tra plusvalore e capitale variabile, sarà definito secondo la formula: Sv= Pv/Cv.

Il capitalista tuttavia, non può investire solo in salari, quindi in capitale variabile, deve investire anche in macchinari e impianti, ossia in capitale costante. Il saggio di profitto quindi, non coincide con il saggio del plusvalore, ma è espresso dal rapporto tra il plusvalore e la somma di capitale costante e variabile, riassumibile nella seguente formula: Sp=Pv/Cc+Cv.

Il saggio di profitto pertanto è sempre inferiore al saggio del plusvalore.

Per poter aumentare continuamente il profitto, il capitalista dovrà quindi aumentare il plusvalore.

In un primo momento questo avverrà attraverso l’aumento delle ore lavorative, che naturalmente non potranno essere estese oltre un certo limite; pertanto la fase successiva sarà quella di aumentare la produttività attraverso le macchine, motivo per cui il capitalismo ha la necessità strutturale di introdurre continuamente nuovi e più efficienti macchinari, che consentano di avere un numero sempre minore di operai, dal che deriva il fenomeno della disoccupazione di massa, endemico nella società borghese.

In tal modo l'impresa capitalistica diventa sempre più grande e chi non riesce a tenere il passo fallisce, venendo sospinto nel proletariato e la proprietà dei capitali e delle imprese, quindi della ricchezza, si concentra progressivamente nelle mani di un numero sempre minore di capitalisti.

  

  L’eccesso di produttività porta al fenomeno ciclico delle crisi di sovrapproduzione, assenti nei secoli precedenti, durante i quali le crisi economiche erano legate alla scarsità di merci.

L’altro fondamentale inconveniente strutturale che si produce all’interno del sistema è la caduta tendenziale del saggio del profitto: se infatti il risultato necessario a cui giunge il capitalista è quello di aumentare continuamente il capitale costante, il valore al denominatore della formula sopra riportata aumenta e il valore al numeratore diminuisce.

La caduta tendenziale del profitto è quindi il vero “tallone d’Achille” del sistema capitalistico.

Le contraddizioni descritte, sono per Marx destinate a scoppiare, provocando la rivoluzione dei proletari contro i pochissimi capitalisti rimasti, portando alla fine dell’economia borghese e alla nascita di nuova società senza più classi sociali, la società comunista, nuova sintesi dello sviluppo dialettico della storia.

In assenza di classi sociali non ci sarà più lotta di classe, quindi lo sviluppo dialettico-conflittuale della società si arresterà e il comunismo diverrà la forma permanente della società, in cui gli uomini saranno liberi e non più divisi tra sfruttati e sfruttatori, tra classe dominante e classe dominata.

Il comunismo tuttavia, spiega Marx, non si realizzerà subito, in un colpo solo. Prima vi sarà una fase transitoria, detta dittatura del proletariato, che avrà il compito di distruggere lo Stato borghese.

Quando la dittatura del proletariato avrà terminato il suo compito, si realizzerà allora il comunismo vero e proprio, con il ritorno della libertà di tutti e del benessere di tutti.

“Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” 

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