La relazione dialettica tra servo e padrone

L'identità del padrone è mediata da quella del servo ed è a essa inevitabilmente correlata. È ciò che Hegel esprime nei passaggi iniziali del brano, in cui afferma che il signore è la coscienza

«per sé» (cioè libertà, emblema della coscienza indipendente) solo in quanto «mediata con sé da un'altra coscienza»; così come il servo, l'essere "per altro" (cioè l'emblema della coscienza

dipendente), è tale solo in riferimento alla figura del padrone. Entrambi si rapportano all'altra coscienza, da cui ricevono la propria identità, e nello stesso tempo si relazionano mediatamente alle cose, agli oggetti del desiderio.


Nel diverso modo di riferirsi alle cose risiede la possibilità del rovesciamento dialettico della situazione. Il padrone, infatti, si rapporta a esse in modo mediato dal servo, che gli procura gli oggetti e i beni che egli si limita a consumare, godendone in un atto di

«negazione pura». Il servo, invece, pur "negando" gli oggetti, cioè considerandoli come "oggetti" contrapposti alla propria "soggettività", non distrugge le cose, ma le trasforma con il suo lavoro.


Il servo ha sperimentato il suo essere autocoscienza nella paura provata di fronte alla morte, che peraltro è il motivo per cui ha rinunciato alla lotta. Egli ha preferito sottomettersi, cioè perdere la propria indipendenza e libertà, pur di aver salva la vita. La paura, dunque, consente al servo, paradossalmente, di fare esperienza della sua essenza più profonda, che è quella della "negatività", cioè della possibilità di sottrarsi all'oggettività, di annullare l'essere materiale, possibilità di cui la morte è la realizzazione estrema.


Hegel riconosce tutto il valore del lavoro, grazie a cui il servo impara a vincere gli impulsi sensibili, si autodisciplina e, dunque, si forgia. Nello stesso tempo, imprime alle cose che manipola una forma destinata a durare nel tempo, che le sottrae al loro destino naturale. Si tratta dunque di un duplice processo di affrancamento: del soggetto, che si eleva sulla propria sensibilità, e delle cose, che, assumendo una configurazione autonoma, esprimono un nuovo contenuto spirituale. È in questo modo che il servo, divenendo consapevole del proprio valore e del proprio essere indipendente, poco per volta pone le basi per il rovesciamento della sua condizione.


La coscienza servile, mediante il lavoro, si riappropria di sé, della propria essenza intuita nella paura della morte e la considera come la medesima essenza estranea «dinanzi a cui (...] ha tremato»; in altre parole, la coscienza del servo riconosce in se stessa quei caratteri di libertà, "negatività" e indipendenza che aveva attribuito al padrone nel momento in cui si era sottomessa a lui, e li fa propri. La libertà, che era apparsa all'inizio come prerogativa del padrone (tesi) e che poi è stata conquistata dal servo con il suo lavoro (antitesi), alla fine risulta affermata come un valore universale (sintesi).

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